È italo-svizzero lo studio che ha scoperto come dei materiali composti da diversi ossidi possiedano un’efficienza straordinaria nel convertire il calore in energia elettrica. Il lavoro, a cura dei ricercatori delle Università di Genova e Ginevra in collaborazione con alcuni istituti del Consiglio nazionale delle ricerche, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications e apre la strada all’utilizzo su larga scala della termoelettricità.

L’effetto termoelettrico permette di generare energia elettrica sfruttando una differenza di temperatura tra due punti di un materiale, ma l’efficacia è debole: solo il 10% dell’energia dispersa in calore può essere recuperata. Lo studio, invece, mostra che, ingegnerizzando le proprietà dei materiali su scala nanometrica, si ricavano valori record di termoelettricità a basse temperature.

Nello specifico, la ricerca ha messo in luce il potenziale per la famiglia degli ossidi: oltre ad avere un elevato coefficiente di conversione energetica, sopportano temperature elevate. Se finora la scarsa disponibilità di materiali ad alto coefficiente di conversione energetica ne ha limitato l’utilizzo solo ad alcuni comparti (ad esempio, quello delle sonde spaziali), in futuro il campo delle applicazioni industriali potrebbe ampliarsi, potendo contare su una classe di materiali performanti ed economici.

Lo studio, infine, ha fatto comprendere più a fondo le proprietà fisiche di questi materiali tra cui spicca la presenza di elettroni intrappolati nel materiale. “Lo stato elettronico è stato cercato in sistemi artificiali per lungo tempo senza avere conferma sperimentale con altre tecniche”, sottolinea Ilaria Pallecchi (Cnr-Spin), che ha eseguito le misure.

Il prossimo obiettivo sarà implementare le proprietà di tali materiali, così da realizzare strutture artificiali con super coefficienti termoelettrici sia a temperatura ambiente sia a temperature elevate.

Foto: “These rare-earth oxides are used as tracers to determine which parts of a watershed are eroding. Clockwise from top center: praseodymium, cerium, lanthanum, neodymium, samarium, and gadolinium.” – Foto: by Peggy Greb – This image is in the public domain because it contains materials that originally came from the Agricultural Research Service, the research agency of the United States Department of Agriculture.