Parlando di energia nucleare si assumono sempre atteggiamenti determinati e contrastanti: sono/non sono d’accordo. Ovviamente il disastro di Černobyl ha avuto un forte impatto psicologico in tutto il mondo, provocando la riduzione o il blocco totale dei progetti di costruzione di nuovi impianti. In Italia abbiamo avuto anche un referendum che ha sancito la fine del nucleare.
Quando si guarda all’energia nucleare, il pensiero di tutti noi si sposta inevitabilmente sulla problematica dei rifiuti radioattivi. Pochi però conoscono l’esatta provenienza di questi rifiuti e nessuno (o quasi) associa la proliferazione di armi nucleari a questa tematica.

Durante il suo funzionamento un impianto nucleare può al massimo produrre radionuclidi derivanti dall’attivazione dei materiali strutturali. E’ durante l’irraggiamento del combustibile nucleare che si producono i radionuclidi più pericolosi (prodotti di fissione) che però, badate bene, rimangono confinati all’interno delle barrette di combustibile: pellets sinterizzate di ossido di uranio impilate all’interno di una barretta in lega di zirconio o di acciaio. In altre parole “sassi” dentro un tubo metallico.
A questo punto si possono fare due scelte: mettere in sicurezza il combustibile esausto lasciandolo in forma solida e conservarlo in un deposito oppure, recuperare uranio e plutonio: alcuni paesi (Svezia), non interessati alla proliferazione di armi nucleari, hanno scelto la prima opzione costruendo un grosso deposito nazionale. Altri paesi hanno invece intrapreso la via del ritrattamento del combustibile nucleare. La parte più pericolosa dei rifiuti nostrani, ad esempio, deriva proprio dalle sperimentazioni effettuate sul territorio nazionale per estrarre l’uranio (e il plutonio) da elementi di combustibile esausto.

Ma cosa significa, realmente, riciclare il combustibile nucleare? Innanzi tutto, tagliere gli elementi di combustibile per poi scioglierli mediante soluzioni di acido nitrico. In questo modo si forma una soluzione acquosa fortemente acida contenente tutti i prodotti di fissione e l’uranio. Le soluzioni nitriche di uranio e plutonio sono in grado di formare complessi specifici con alcuni composti organici (tributilfosfato) diluiti in solventi organici (cherosene). Pertanto mediante la tecnica di estrazione con solvente l’uranio e il plutonio passano da una fase acquosa ad una fase organica lasciando nella fase acquosa tutti i prodotti di fissione. La fase organica, ricca di uranio e plutonio, “incontra” una soluzione fresca di acido nitrico in modo che questi due elementi si ritrovino nuovamente in fase acquosa. La fase organica impoverita viene lavata e riciclata. In breve, siamo partiti da un combustibile solido per arrivare a diversi metri cubi di: soluzione acquosa acida contenente il 99% dei prodotti di fissione e quindi fortemente radioattiva, soluzione radioattiva derivante dal lavaggio del solvente organico, soluzione acquosa contenente uranio e plutonio ed una soluzione organica da riciclare. A questo punto il processo industriale (PUREX) prevede la separazione del plutonio dall’uranio e la successiva fase di purificazione degli stessi: altri metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi.

Il problema principale pertanto è l’abnorme proliferazione di rifiuti liquidi radioattivi generati durante ogni fase di processo. Tanto per avere un esempio, negli anni ’70 furono trattati circa 500 elementi di combustibile di tipo MTR (Materials Test Reactor) e sono stati prodotti circa 85 m3 di soluzione acida acquosa contenente, tra l’altro, mercurio utilizzato come catalizzatore. Rifiuti che necessitano un trattamento di immobilizzazione in una fase…. solida (vetro o cemento) che comporta un ulteriore aumento di volume ed un altro impianto.
Il plutonio subisce un processo di decadimento che porta alla formazione di americio, inutilizzabile per le armi, e quindi si rende necessaria, periodicamente, la sua separazione con metodi analoghi a quello sopra decritto: pensate a quante testate nucleari sono state costruite durante la guerra fredda!

Per la fabbricazione di ordigni nucleari occorre U235, Pu239 e U233, il plutonio è il più appetibile perché occorre una massa critica più contenuta (4-10 kg secondo se in forma metallica o di ossido). In passato, per produrre energia riducendo i rischi della proliferazione di armi nucleari, è stata elaborata una soluzione consistente nella sostituzione del ciclo uranio-plutonio con il ciclo uranio-torio: non ha avuto alcun successo.