OTEC, acronimo di Ocean Thermal Energy Conversion, è un tipo di energia rinnovabile che sfrutta la differenza di temperatura tra gli strati profondi del mare e la superficie.

L’inventore di questa tecnologia fu il fisico francese Jacques d’Ansorval nel 1881. Essa, però, non suscitò interesse fino al 1970 quando la crisi petrolifera portò alla ricerca di modi di produrre energia che non utilizzassero i combustibili fossili.

Come funziona una centrale OTEC

Una centrale OTEC è del tutto equiparabile ad una centrale elettrica convenzionale: unica differenza è che per scaldare il fluido di lavoro invece di bruciare combustibili fossili si usa l’acqua del mare.

Le acque superficiali più calde riscaldano un fluido con un basso punto di ebollizione (come l’ammoniaca o un refrigerante) che evapora e viene espanso in una turbina collegata ad un alternatore. Grazie alla pressione acquistata con l’ebollizione, il vapore fa girare la turbina e produce energia elettrica.

Il vapore viene poi fatto passare in uno scambiatore e con il contatto con le acque fredde provenienti dal fondo del mare condensa. Mentre il fluido ricomincia il ciclo, l’acqua viene rilasciata in mare.

 

schema impianto otec

Esempio di impianto OTEC

 

Uno dei problemi principali di questa tecnologia e in generale di tutti gli impianti che lavorano con acque marine è la corrosione dei componenti dell’impianto, come ad esempio i tubi, gli scambiatori e le pompe.

Il mare come ambiente corrosivo

Dal punto di vista chimico, il mare è una soluzione di NaCl (circa il 3.4 %) e in aggiunta contiene anche quasi tutti gli elementi conosciuti. Inoltre nell’acqua di mare sono presenti disciolti i gas dell’atmosfera, come ossigeno e anidride carbonica, e numerosi composti organici, idrogeno solforato, ammoniaca ed altri inquinanti derivanti dall’attività biologica e, in prossimità delle coste, dagli scarichi civili ed industriali.

L’ossigeno disciolto, i cloruri, gli altri sali in soluzione e la composizione in generale influenzano pesantemente l’aggressività dell’acqua, le reazioni catodiche possibili e la formazione di strati passivanti sui materiali. Ai fenomeni corrosivi generalizzati o localizzati che l’acqua marina può innescare, si aggiungono inoltre fenomeni di corrosione-erosione dovuti al moto delle acque e, non ultimo, il problema del biofouling.

Esso, oltre ad appesantire le superfici e a peggiorare i coefficienti di scambio termico, può far crescere i rischi di corrosione sotto deposito e aumentare localmente la concentrazione di sostanze organiche aggressive. L’elevata conducibilità elettrica, inoltre, se da un lato accresce l’efficacia dei metodi di protezione attiva, dall’altro aggrava i problemi di corrosione galvanica.

Il mare rappresenta pertanto un ambiente corrosivo molto complesso e variabile che dà luogo a numerose forme di attacco.

 

Tubi e valvole corrosi

Effetti della corrosione marina su un impianto

 

Tantissimi sono i componenti a contatto con acqua marina, non solo negli impianti OTEC ma anche in molte altre applicazioni: numerose industrie, per esempio, usano l’acqua del mare in sistemi di raffreddamento. Appare chiara la necessità di usare materiali adatti a resistere alla corrosione in questo genere di situazioni.

Gli scambiatori, ma anche i tubi e le valvole, devono essere realizzati nei materiali giusti: plastica per tubi e valvole e grafite per gli scambiatori. Gli scambiatori in grafite resistono alla corrosione quanto i più diffusi scambiatori in titanio e sono più convenienti. Rispetto al titanio, la grafite è anche caratterizzata da una conducibilità termica notevolmente più alta ( 129 W/(m K) contro 21,9 W/(m K)). In caso di alte pressione, la grafite può inoltre essere rinforzata grazie alla fibra di carbonio.

Per quanto riguarda le materie plastiche, sia PVC, PP, PVDF possono entrare in contatto con acqua di mare a temperatura ambiente; nel caso però la temperatura salga sopra i 60°C il PVDF è consigliato installare componenti in PVDF.