Abbiamo visto che la produzione di ammoniaca sintetica ha creato le basi per nuovi settori industriali, fondamentali ancora oggi, ma la complessità del nuovo processo ha messo a dura prova i materiali disponibili ai primi del ‘900.

Per produrre ammoniaca occorre avere una miscela pura di azoto e idrogeno (rapporto 1:3), comprimerla ad alta pressione (200 atm), scaldarla a temperature elevate (500°C), in queste condizioni metterla a contatto con un catalizzatore, raffreddare la miscela costituta da azoto, idrogeno e ammoniaca formatasi durante il contatto con il catalizzatore, separare l’ammoniaca e riportare la miscela rimasta, previo riscaldamento, sul catalizzatore e così via. S’intuisce che il processo non è a batch bensì continuo ovvero tutte le apparecchiature lavorano a quelle condizioni senza sosta.

Ciò significa che i macchinari devono soddisfare alcuni importanti requisiti costruttivi: resistenza ad alte pressioni, resistenza a elevate temperature, resistenza alla corrosione, facilità di montaggio e smontaggio per facilitare le operazioni di manutenzione, lunga durata e, ovviamente, costi contenuti. Nella scelta dei materiali, è buona norma scegliere in base al requisito più restrittivo per poi dimensionare le apparecchiature in base agli altri requisiti. Ad esempio nel caso specifico si può dare la priorità alla corrosione ed eventualmente aumentare gli spessori per consentire operazioni ad alta pressione. Al contrario, si può dare la priorità alla resistenza ad alte pressioni ed eventualmente proteggere i materiali con placche protettive o strati superficiali anticorrosione.

L’idrogeno si combina facilmente, formando idruri instabili, con la maggior parte dei metalli tranne che con manganese e cromo. A complicare le cose si aggiunge, inoltre, l’elevata diffusione attraverso i materiali, di questa piccola molecola che a temperatura elevata si combina con il carbonio, l’ossigeno, lo zolfo ed i metalli contenuti nella lega. I prodotti della reazione non potendo diffondere verso l’esterno, esercitano una forte pressione all’interno del materiale causando microfratture. Solo gli acciai a struttura austenitica (basso contenuto di carbonio) sono utilizzabili mentre i normali acciai al carbonio, disponibili quando ebbe inizio la produzione di ammoniaca sintetica, crearono non pochi problemi dovuti proprio alla presenza dell’idrogeno. Dopo pochi giorni di funzionamento, infatti, l’acciaio diventava duro, fragile e senza resistenza meccanica: i primi reattori scoppiarono mettendo in dubbio la fattibilità del processo. L’aggiunta di cromo risultò efficace perché forma il carburo stabile ed in grado di sottrarre il carbonio all’azione dell’idrogeno. L’aggiunta successiva di tungsteno o molibdeno aumentò la resistenza meccanica e la lavorabilità dell’acciaio al cromo.