L’idea è semplice: far produrre ai batteri dei pigmenti colorati per tingere i tessuti, in modo da evitare di ricorrere ai coloranti di sintesi chimica, che sono molto inquinanti per l’ambiente.

Batteri per colorare i tessuti

Il progetto ha una certa validità scientifica, non a caso di recente a Londra ha vinto il premio “Breaking New Ground” nella Bio-start competition, gara che premia le migliori startup in ambito biotecnologico.
La paternità del procedimento è del team di una giovane azienda di Cambridge che ha avuto l’intuizione di ricorrere alla biologia sintetica per contrastare l’inquinamento provocato dall’industria tessile, che sfrutta i coloranti di sintesi chimica.

Come? Ricorrendo ai batteri. Si individua il batterio in grado di produrre il pigmento desiderato, si estrae il gene della colorazione e si inserisce nel DNA di una coltura batterica, geneticamente modificata ad hoc dai ricercatori per ottimizzare la produzione del pigmento. Dopo aver fatto riprodurre la coltura batterica in un fermentatore e aver ottenuto la quantità di colorante sufficiente, si immerge il tessuto da tingere nella soluzione colorata, che non supera i 37 gradi. In ultimo, il tessuto viene rimosso dal composto e sterilizzato.

I vantaggi della colorazione tessile ecosotenibile

Questo significa che c’è un basso consumo di acqua e di energia e un impatto ambientale minimo, considerando che il processo produttivo garantisce una quantità di scarti chimici inferiori all’1% e non prevede l’utilizzo di metalli pesanti, solventi organici o acidi.

Se il procedimento venisse adottato su larga scala si ridurrebbe di molto l’inquinamento: secondo le recenti stime della Banca Mondiale il settore tessile tradizionale produce il 20% dell’inquinamento idrico di cui la principale colpevole è la fase della colorazione. Basti pensare che a seguito della tintura, circa il 10-40% di coloranti e sostanze chimiche, tra cui metalli pesanti come cadmio, mercurio e cromo, è rilasciato nell’ambiente.